Le cooperative sociali di inserimento lavorativo di persone “svantaggiate” sono in gran numero attive nel settore del riutilizzo. Sarà perchè il modello, ormai decrepito, del consumismo scarta con la stessa leggerezza persone e cose.
Le cooperative sociali sono luogo di forti relazioni con la comunità, in cui convivono interventi di aiuto e di scambio gratuito; sono luogo che promuove diritti di cittadinanza e pratiche di solidarietà. Allo stesso tempo le cooperative sociali sono aziende con i vincoli di bilancio, l’obbligo di analizzare costi e benefici di ogni attività, l’obbligo di sviluppare la propria attività nel rispetto delle leggi.
Oggi in Italia è difficile per una cooperativa sociale sviluppare attività legate al riutilizzo. Tutto è facile finchè si rimane dentro i confini di attività caritatevoli e di beneficienza, tutto diventa “non permesso dalle leggi” quando l’attività prende carattere di impresa. Così è permesso distribuire pasti caldi ai senza casa ma è vietato costruire una filiera di raccolta e distribuzione di eccedenze alimentari della grande distribuzione; è legale stipare le canoniche delle parrocchie di cose utili che non servono più ma è illegale sottrarre le stesse cose utili al circuito di raccolta dei rifiuti.
Le cooperative sociali non sono a proprio agio nel divincolarsi tra leggi, interpretazioni e cavilli nonostante la frequentazione assidua di persone svantaggiate “border line” e “down by law”. Al contrario la legalità è un requisito fondamentale del nostro agire. Le cooperative sociali che si occupano o intendono occuparsi di riuso devono aderire a Rete Onu perché il loro punto di vista è prezioso.
Dare forza al nostro punto di vista, insieme a quello di altre organizzazioni dentro Rete Onu che, a vario titolo, si occupano di riutilizzo, è di grande importanza per ottenere la “definizione delle regole” di un comparto produttivo disconosciuto che merita attenzione e rispetto perché utile a tutti.