Non si contano oramai più le operazioni di polizia contro il mercato abusivo di via della Vasca Navale.
“Dopo tre anni di gioco delle tre scimmiette dove nessuno vedeva, sentiva e parlava oggi improvvisamente si scopre la ricettazione, il taglieggiamento e l’abusivismo. Sono fenomeni reali, certamente, ma che rischiano, per dimensioni e alcuni aspetti folcloristici, di porre un velo sulle ragioni e sulle scelte politiche che li hanno posti in essere, e una pietra sopra alle soluzioni possibili”, ad affermarlo è Aleramo Virgili, Portavoce della Rete Nazionale Operatori dell’usato coordinamento del Lazio, intervenendo sullo sgombero del mercato di via della Vasca Navale, a Roma.
“Nessuno dice che in questa città il mercatino di Via della Vasca Navale è stata l’inevitabile e pilotata risposta alla chiusura di tutti i mercatini dell’usato (dei rom, ma non solo) che per 10 anni a Roma si erano visti concedere l’occupazione del suolo pubblico (pagandolo) per svolgere la loro attività in quanto strumenti di inclusione sociale – vogliamo ricordarlo – da decine di determinazioni dirigenziali dei Municipi interessati”, prosegue la nota dell’organizzazione degli operatori dell’usato.
“Nessuno dice che è stata la sistematica distruzione dei mercatini dell’usato autorizzati (con tanto di rispetto delle regole e di regolari concessioni) che ha portato alla nascita di questo cono d’ombra dove sono potute crescere e diventare prevalenti attività illegali che con l’usato non dovrebbero aver nulla a che fare, spezzando il processo d’inclusione sociale che aveva iniziato a marciare nell’alveo della legalità”, precisa Virgili.
“Quella che rimane inevasa è la risposta al problema reale di permettere ai mercatini dell’usato in questa città – e alle loro centinaia di operatori che non si dissolveranno per magia – di svolgere regolarmente la loro funzione. E sulla fascia debole dell’ambulantato, questa è funzione d’inclusione e coesione sociale: costruirla è un processo che ha bisogno di tempo e continuità, sostegno e visione da parte della pubblica amministrazione”, prosegue il portavoce del Lazio.
Il settore dell’usato infatti è oggi una delle poche possibilità di reddito per una fascia crescente della popolazione e un’ efficace strumento di contrasto alle nuove povertà.
Grazie a quest’esercito pacifico ma agguerrito ogni anno decine di migliaia di tonnellate di beni post-consumo vengono restituite ad una seconda vita, fornendo una delle risposte più efficaci e concrete all’emergenza ambientale della nostra epoca rappresentata dall’enorme produzione di rifiuti.
“La Rete nazionale Operatori dell’Usato Coordinamento Lazio si augura che oggi, passata la sbornia ideologica sulla sicurezza vista come sistema solo di repressione e non di inclusione sociale e sulla lotta alla povertà e all’emarginazione vista troppo spesso come lotta contro i poveri e gli emarginati, grazie anche alle nuove normative europee e italiane sul riutilizzo, i tempi siano finalmente maturi affinché la pubblica amministrazione metta in agenda il tema del riutilizzo, a partire dal confronto con gli attori del settore e le loro rappresentanze, consentendo la piena valorizzazione dell’apporto ambientale, sociale e culturale del mondo dell’usato. Sono le soluzioni di sistema a garantire decoro e salute pubblica su questo terreno, non il controllo fine a se stesso”, sottolinea Virgili.
E le soluzioni di sistema su questo terreno esistono. Roma non è la prima metropoli dove il fenomeno della raccolta informale e dei mercati abusivi è diventato un problema, rischia semplicemente di essere l’ultimo posto dove è stata ricercata una soluzione. La letteratura scientifica sull’argomento è vasta, e le buone pratiche adottate altrettanto: la RETE ONU ne raccomanda in particolare due.
La prima è un percorso di inserimento lavorativo capace di mobilitare le conoscenze costruite nell’attività informale di rovistaggio in veri e propri Centri del riuso, a partire dalla selezione delle merci riusabili presenti nel flusso dei rifiuti solidi urbani e conferite presso i centri di raccolta rifiuti al fine di prepararle al riutilizzo e venderle all’ingrosso agli operatori dell’usato; la seconda passa per l’istituzione di Aree di libero scambio autorizzate (come da anni con successo avviene a Torino) dove operatori non professionali dell’usato possono scambiare e vendere i loro beni. Inoltre, l’emersione di queste attività informali passa per programmi di autopromozione sociale e per la creazione di cooperative.
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